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Omosessuali's Karma

  • Alessio Chiaramoni & Victoria Torresi
  • 8 mag 2017
  • Tempo di lettura: 2 min

Femminuccia. Checca. Frocio. Maschiaccio. Figa di legno. Lesbica.

Parole. Quante parole inventiamo per discriminare? Il tutto, poi, perché siamo così ottusi che non riusciamo nemmeno a comprendere che chi abbiamo davanti non è solo un omosessuale, ma è prima di tutto una persona. Insieme ad un ampio patrimonio di insulti, tuttavia, c’è un altro dono che questa società dominata da una mentalità cristiana e bigotta ha voluto lasciarci: gli stereotipi. “L’amore omosessuale non è vero amore, si basa solo sul sesso.” “L’omosessualità è una malattia e come tale va curata.” “Essere gay è contro natura.” Parliamo tanto di uguaglianza, solidarietà, tolleranza, ma in fondo siamo sempre pronti a discriminare chiunque sia diverso da noi. C’è da dire che qualche passo avanti con il tempo è stato fatto, basta pensare al traguardo delle unioni civili. Rimangono, però, diversi temi piuttosto urgenti su cui in molti continuano a pronunciarsi in maniera contrastante, tra i primi la questione delle adozioni. I pregiudizi hanno la meglio anche in questo caso. “La famiglia, quella vera, deve essere formata da un padre ed una madre.” “Pensate al trauma che causerebbero ai bambini!” CAZZATE! Che si tratti di mera omofobia lo dimostrano migliaia di studi delle più importanti università di psicologia, (New Yorker Columbia University o anche Roma La Sapienza, solo per citarne alcune) che hanno evidenziato come, all’interno di una famiglia composta da due madri o due padri, i bambini riescano comunque a conseguire uno sviluppo emotivo ed intellettivo al pari dei coetanei provenienti da famiglie eterosessuali. Bisognerebbe, dunque, riconsiderare la possibilità di permettere agli omosessuali di adottare dei bambini, diritto che viene riconosciuto ad ogni coppia e, a maggior ragione, dovrebbe essere esteso a tutti per una totale uguaglianza. Quest’ultima questione ci proietta direttamente verso un tema ancora più discusso: la surrogazione di maternità. Per “surrogazione di maternità”, anche chiamata utero in affitto, si intende il “ruolo rivestito da una donna che provvede alla gestazione e al parto, per una singola persona o per una coppia, a cui poi consegnerà il nascituro”. “Sfruttamento!” “Innaturale!” Queste sono solo alcune delle critiche mosse contro una simile pratica, poiché spesso si pensa ad una donna pagata (e perciò sfruttata) per “sfornare” un figlio che le sarà tolto disumanamente. Perché non si pensa, invece, ad una persona che altruisticamente decide di aiutare qualcun altro? Perché non si segue lo stesso ragionamento per un donatore di sperma? Una donna matura può consapevolmente scegliere di fare ciò che vuole del suo corpo e, se decidesse di donare una parte di sé, per aiutare chi non può farlo a dare alla luce un bambino, non si dovrebbe far altro che ammirarla.

Concludendo, piuttosto che continuare a giudicare le azioni altrui, criticando e gridando allo scandalo per qualsiasi cosa non rientri nei nostri schemi, dovremmo iniziare a pensare un po’ a migliorare noi stessi, lasciando gli altri liberi di esprimersi e di essere autentici, senza dover privare chi è diverso da noi di alcuni fondamentali diritti.

 
 
 

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