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Speranza o Illusione?

  • Bianca Semplici
  • 8 mag 2017
  • Tempo di lettura: 3 min

La parola speranza, all’udito, sembra un termine del trobar leu segnato da una profonda dolcezza e da una sorta di felicità, quasi a creare all’interno del nostro corpo, o meglio, nel profondo della nostra anima (se ne abbiamo una, ma ora non è il momento di meditazioni filosofiche) un forte desiderio di rinascita e la voglia di non rimanere annodati ai fili inestricabili delle nostre sofferenze fisiche, ma, soprattutto, psicologiche, quelle più enigmatiche che si insinuano nei meandri della nostra psiche ancora tutta da scoprire. Secondo alcuni neuro scienziati, infatti, la mente può essere legata ad alcune regioni della corteccia celebrale, per altri invece non è possibile studiarla non avendo attributi fisici. Si potrebbe paragonare ad un nuovo pianeta da scoprire per la Nasa, all’Iperuranio per Platone, o ad un nuovo continente da raggiungere solo circumnavigando l’universo. Non sapendo quindi come funzionano i suoi amletici meccanismi, mi viene da pensare che sia dunque un luogo oscuro e misterioso in cui anche il più piccolo problema può manifestarsi insormontabile. Noi umani, poi, diversi ma accomunati dalla stessa specie e aventi dunque prossimità filogenetiche, non possiamo fare a meno di correre il rischio di perderci nel labirinto dei nostri tormenti e delle nostre complicate elucubrazioni. La nostra mente però non ha in dotazione il filo rosso che Arianna, figlia di Minosse, diede a Teseo per aiutarlo a trovare una via d’uscita dopo aver ucciso, non a caso, il mostruoso Minotauro, indizio che ci consentirebbe di trovare una soluzione immediata ai nostri intricati e cervellotici problemi. Per evitare quindi la scomoda situazione del dolore, per non annegare nei nostri amari pensieri, per non sentirci il Non-essere, per non cadere cioè nello squallido stato di abbandono della vita poiché, come diceva Seneca nel De Brevitate Vitae, meglio morire che vivere una vita senza più uno scopo, ci aggrappiamo con tutte le nostre forze alla speranza, come se fosse l’unica via d’uscita disponibile, come se fosse la famosa luce in fondo al tunnel, come se ci dicesse sottovoce all’orecchio: “abbi fiducia, non è tutto finito”. Può sembrare dunque un sentimento estremamente positivo, di cui infatti è lecito usufruire come spinta per il raggiungimento dei propri obbiettivi, ma la speranza è propria di ambivalenza, basta considerare il mito del vaso di Pandora contenuto nell’opera “Le opere e i giorni” del poeta Esiodo. Qui l’autore lascia spazio ad una libera interpretazione dell’ Elpis, potendola considerare quindi sia un male poiché appartenente ai doni maligni, sia un bene perché per volere di Zeus fu l’unico dono a rimanere nel vaso. L’essere umano, dunque, non dovrebbe vederla unicamente come la panacea per tutti i mali, poiché la speranza, se usata a sproposito, può facilmente trasformarsi in illusione, diventando un potente analgesico che sopprime sì il dolore ma solo apparentemente, solo in un primo momento, non per sempre. Spesso si sente dire che le illusioni aiutano a vivere, ma sono anche un pretesto, una scusa di cui l’uomo si serve perché non riesce ad accettare situazioni o spiacevoli o disagevoli. Noi uomini, infatti, spesso sogniamo troppo e non riusciamo ad impostare la nostra vita sulla realtà perché è mutevole, variabile, discontinua e a volte assurda. Se si vive nella realtà che ci circonda, ogni cosa, in qualsiasi momento può essere soggetta a cambiamento, positivo o negativo, e noi invece per natura desideriamo vivere solo ciò che ci piace cristallizzando le cose che amiamo. In questo senso la speranza può diventare dunque un'anti-realtà, un telo che la copre e non ce la fa vedere permettendoci di vivere secondo i nostri desideri e le nostre illusorie convinzioni, facendoci presumere che a tutto ci sia una soluzione e che basta continuare a mantenerci attaccati ai nostri rimpianti per aggiustare in futuro le cose. In questo modo però ci lasciamo sfuggire un’altra prospettiva, un’altra opzione o un’alternativa, non riusciamo a vederle e ci lasciamo lentamente scivolare nella desolazione come se cadessimo nel buco nero del nostro animo. La speranza, pertanto, non insegna agli uomini a lasciarsi alle spalle il passato poiché nella regione spazio tempo della speranza/illusione il campo gravitazionale è cosi intenso che niente al suo interno può fuggire. Secondo me, quindi, l’uomo, per non rischiare di paralizzare la sua esistenza, deve essere a volte anche in grado di abbandonare le comode e pie illusioni e avere la forza di vedere la realtà così com’è, per cruda e spietata che sia, deve avere il coraggio di mettere la parola fine a ciò che è finito, deve porsi nuovi obbiettivi e sostituire i sogni infranti con nuovi sogni, perché è inane inchiodarsi mentalmente in un frangente sbagliato, che ci ha fatto e ci fa stare male, sperando che torni a far parte della nostra vita. Ci si dovrebbe concentrare, al contrario, su ciò che giova alla nostra esistenza. Perché non capiamo che a volte la sofferenza è provocata proprio dall’illusione di una maledetta speranza?

 
 
 

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